Invece di scervellarsi su norme tecniche ed amministrative di difficile recepimento e scarsa efficacia operativa, ritornare al passato con idee semplici e per così dire "primitive" potrebbe in qualche modo destare l'interesse pubblico della gente e conseguentemente diventare un'ottima medicina ai problemi di "cassa" delle nazioni; eccone qui un esempio, la "tassa sull'urina", che certamente potrebbe generare scalpore e polemiche, come già lo fu a quei tempi, ma anche portare curiosità ed interesse.
Tra i problemi più gravi che l'imperatore romano Vespasiano (9-79 d.c) dovette affrontare ci furono quelli economico-finanziari dell'impero; per tale scopo impose nuove tasse per cercare di rendere meno sofferenti le casse dello stato. Una di queste tasse riguardò la raccolta dell'urina ovvero la cosiddetta vectigal urinae. Le classi meno ricche di Roma solitamente urinavano in bacinelle che poi svuotavano nelle latrine pubbliche. L'urina così raccolta poteva quindi essere venduta per essere impiegata nei processi di tintura delle tele, per sgrassare e lavare gli indumenti, o per compattare le fibre dei tessuti di lana. Le persone che acquistavano l'urina dovevano pagare la tassa imposta da Vespasiano, l'uomo che, secondo la leggenda, fece così nascere le latrine pubbliche.
Curiosamente queste latrine pubbliche hanno dato origine a un'espressione latina ancor oggi molto diffusa: pecunia not olet cioè i soldi non puzzano.
Tale espressione derivò dal momento in cui Tito, figlio di Vespasiano, rimproverava al padre di aver avuto l'idea di tassare anche le urine. Vespasiano, alla prima occasione utile, mise sotto il naso di Tito la prima somma resa da questa imposta chiedendogli "se fosse offeso dal suo odore" e quando Tito disse di no, rispose "eppure è il prodotto dell'urina".
Resti di latrina romana (Ostia Antica) - foto da Wikipedia |
Nessun commento:
Posta un commento